LA PESTE di leopold Persidi

Nasceva dove nascevano
tutte le guerre e le conquiste.
Si diffondeva,
la temevano i grandi della terra.
Le donne ne avevano terrore.
I padri seppellivano i loro figli
a loro volta venivano seppelliti.
Si vendeva l'anima
pur di non essere toccati dalla peste.
Un contratto con la morte di non ritorno.
Viaggia e si diffonde: Cina, India,
lambendo il Nord Africa, L'Europa: Qui s'immolano
per diversa fede, per stato deforme,
per diverso pensiero e visione;
esseri che nulla hanno a che fare,
con l'odioso morbo.
Qui gli animi si perdono e muoiono.
Commento di Stefanella Orzan

L’autore ripercorre in brevi, secche pennellate storiche, uno stato d’animo ed una realtà che furono esperienze comuni dell’umanità del passato. Non lo fa con un tono distaccato, sembra al contrario quasi partecipe, come spettatore-viaggiatore nei tempi del morbo che, come ci ricorda, non risparmiò alcuna parte del nostro pianeta. E il poeta, con questo suo abile procedimento per immagini e sensazioni ci fa “vedere” con precisione e ricchezza di sentimenti, gli atteggiamenti e le azioni di coloro che si trovarono a convivere con il morbo. Dall’accenno ai grandi della terra passa a descrizioni più accorate e vicine alla gente comune nominando donne, padri, figli, gruppi familiari che provvedevano da sé alle sepolture, ed avevano paura.
Nelle linee di chiusura Persidi ci ricorda ancora il carattere tristemente democratico, assolutamente privo di barriere e preferenze, dell’epidemia, che colpì indiscriminatamente esseri umani di diverse fedi, attitudini, luoghi geografici e temporanei (l’autore infatti non ci dice nulla dell’ epoca precisa, lasciandoci il dubbio su quale epidemia, tra le molte della storia passata) tutte vittime inermi travolte senza poter opporre resistenza.
La riga finale conclude con dolore e repentino stacco narrativo, la descrizione di un evento nella storia umana.

Commento di Viviana De Persio

Colpisce molto la “testimonianza” dell'autore su qualcosa che ha fatto tremare intere popolazioni. Considero questa poesia una testimonianza perché l’autore sembra aver vissuto il terrore di quei tempi. Il sentimento è espresso nel dolore delle madri, dei padri, dei figli; nel timore di chi potente sulla terra non poteva nulla contro la peste, anzi, cercava in qualcuno il responsabile di tutto ciò. Non sono mai state così vere le parole “Un contratto con la morte di non ritorno”. Vera la incorruttibilità della morte, che non fa differenza di religione, di sesso, di stato sociale o di condizione fisica. Testimonianza passata ma indubbiamente attuale, perché l’uomo, in quanto animale, seppur intelligente, è indifeso di fronte tutto ciò che si può celare sotto forma di “Morbo” ma che in realtà ha un solo nome “MORTE”

Commento di Donatella Aragozzini

Un tema profondamente drammatico, quello della peste; una realtà ineluttabile, quella del morbo che si diffonde inesorabilmente sulla Terra senza fare differenze di razza, fede o classe sociale; un’immagine struggente, quella dei padri che seppelliscono i figli. Senza dilungarsi in inutili descrizioni, l’autore riesce ad esprimere con poche, efficaci pennellate il dolore e il terrore che hanno accompagnato questo terribile flagello dell’umanità e lo fa con tono accorato, mai distaccato, quasi partecipe delle terribili sofferenze patite dalle vittime dell’epidemia. In tutta la poesia aleggia la paura, ma anche un impalpabile senso di rassegnazione, di impotenza nei confronti di qualcosa che è troppo grande per essere sconfitto dai comuni mortali e che fa sentire gli uomini incredibilmente deboli, inermi, indifesi.